L’orologio di pietra

Questa è una montagna antica; la sua storia è affascinante. Circa cinque milioni di anni fa le spinte tettoniche iniziarono a sollevare rocce formatesi sul fondo di caldi mari tropicali, il tempo dei dinosauri, l’era Mesozoica. Per effetto delle spinte, quelle rocce si sollevarono fino a generare alte montagne, così come raccontano le pieghe della roccia, le faglie che tagliano il massiccio montuoso da parte a parte, i fossili che ne popolano gli strati. L’erosione fece il resto, scavando valli e canyon, invadendo le depressioni fino a formare laghi, inabissandosi nel sottosuolo a costruire piccole e grandi grotte carsiche.

La roccia che costituisce questi monti è il calcare. Si forma in acqua, e quindi l’acqua, col dovuto tempo, la può sciogliere. Grazie a questa sua proprietà, il calcare è la roccia carsica per eccellenza. Nelle profondità del Matese la natura ha scavato grotte e inciso forre, ha spianato campi e affondato depressioni, ha scolpito pinnacoli e disegnato curve. Sono morfologie affascinanti, dai nomi esotici. Polje, uvala, doline, come quelle nell’area di Gallo Matese, o come le bizzarre forme di Campo dell’Arco, al piede del Monte Miletto.

Valli fluviali e canyon come la Forra dell’Inferno, la Gola di Caccaviola, la Forra di Lavelle, il grande canyon di Pesco Rosso, sono luoghi di esplorazione e avventura, oltre che autentico paradiso per i geomorfologi.

Le forme glaciali delle quote più elevate sono testimoni delle fasi fredde attraversate da questa montagna durante le ultime glaciazioni. E le valli sospese sulle alte pareti meridionali della Gallinola, affacciate sul Lago del Matese, raccontano di epoche remote, ben prima che la tettonica, coi suoi ultimi movimenti, sollevasse così in alto le cime e sprofondasse le grandi valli in cui oggi sorgono i laghi.

La lunga storia geologica di questi terreni è testimoniata del resto anche da noti reperti paleontologici, come quelli di Pietraroja. Qui negli anni settanta è stato rinvenuto il fossile di un cucciolo di dinosauro, lo Scipionyx samniticus. Soprannominato Ciro, il piccolo dinosauro è famoso in tutto il mondo, ed è l’ospite d’onore del Paleolab, un museolaboratorio didattico in cui è possibile compiere un autentico viaggio nelle profondità delle rocce, alla scoperta del passato geologico del Matese e dell’Appennino. Studenti e appassionati di ogni età  possono toccare con mano strumenti e metodi dei paleontologi, ricercatoridetective che attraverso indizi minimi ricostruiscono eventi avvenuti milioni di anni fa.

Il Paleolab sorge a pochi metri da un importante giacimento in cui abbondano fossili di pesci, resti vegetali e tracce di invertebrati. Ma la geologia è di casa su tutto il Matese, come sulle ventose creste della Gallinola, dove si rinvengono spettacolari fossili di rudiste giganti; o a poca distanza dal centro storico di Cusano Mutri, dove fanno bella mostra di sè le arricciature a fisarmonica della Formazione di Longano. Le miniere di bauxite abbandonate del Monte Mutria sono visitabili invece mediante un percorso accessibile a tutti, che sorprende anche l’escursionista più navigato.

Antiche origini

Valli, colline e montagne di questa terra conoscono fin da tempi remoti i passi dell’uomo, come attesta il giacimento paleolitico di Isernia, al piede molisano del Matese. Nonostante le coperture vulcaniche non consentano di ritrovare tracce così eclatanti anche sul versante campano del massiccio, sono stati rinvenuti importanti giacimenti a Capriati al Volturno, Ailano, San Potito Sannitico, Monte Cila e Telese.

Alla fine della prima Età del Ferro, mentre la costa tirrenica è interessata da insediamenti greci (Pithecusa, Partenope, Posidonia, Elea), le zone interne sono di competenza etrusca, che fanno di Capua il loro centro principale, avviando la formazione di una civiltà urbana che interessa tutto l’entroterra campano.

Il Matese è roccaforte di un popolo tenace, i Sanniti, che qui resistono a lungo alla forza dirompente di Roma. In epoca tardo-antica su queste terre passano Goti e Vandali, poi i Longobardi, che si insediano nelle aree interne. Ancora oggi, con monumenti e grotte sacre dedicate al culto di San Michele Arcangelo, il Matese porta il segno della presenza longobarda.

I centri arroccati e i monasteri fortificati raccontano dell’arrivo dei Saraceni, allorquando si impone l’edificazione di ripari sicuri.

Per di qui passano Normanni, Svevi e Angioini: edifici, borghi, grotte rupestri sono segni di splendori e di alterne vicende, di ricchezze e di fasti, così come di carestie e periodi difficili.

Strade, ponti, case di oggi sorgono negli stessi luoghi di un tempo. Come la montagna si stempera verso la pianura, così l’uomo si confonde con la natura e col proprio passato. Questa è una montagna da percorrere e da vivere. Tra le sue valli si respirano duemila anni di storia.

Da pastori a guerrieri

Nel corso del V secolo a.C., dai monti dell’Abruzzo discende una popolazione italica diretta alle più fertili pianure, e si attesta tra l’Irpinia e la Puglia. Sono i Sanniti, che occupano tutto l’entroterra, spingendosi in qualche caso fino a Neapolis, Ercolano e Pompei. Ne scrive anche Tito Livio, riferendosi alla sannitizzazione dell’area campana e alla conseguente formazione del popolo dei Campani. Secondo l’autore latino, i Sanniti sono un popolo feroce, militare e predatore, per niente interessato alle attività produttive e di scambio.

Questa descrizione fa pensare a un popolo arroccato sui monti e dedicato esclusivamente alla pratica della pastorizia.

Tuttavia i ritrovamenti archeologici attestano un alto grado di civilizzazione. Dalla Pentria più profonda col raffinato sito di Pietrabbondante fino alla Valle del Medio Volturno. I ritrovamenti della necropoli di Alife stanno consentendo di studiare una civiltà che i Romani, da una parte con le devastazioni dall’altra con la propaganda storiografica, hanno quasi completamente cancellato.

La penetrazione di Roma nelle aree interne della Campania è resa lunga e complessa proprio dalla presenza dei Sanniti. Le guerre sannitiche si protraggono dal 343 al 290 a.C., e vedono non poche sconfitte da parte romana, come nel caso delle Forche Caudine (321 a.C.).

Le tracce lasciate dai romani sul territorio sono notevoli. Alife, con la sua cinta muraria in opus incertum pressoché integra, ne è un meraviglioso esempio. La città  conserva intatto l’impianto urbano, con le quattro porte tipiche del castrum, all’incrocio tra gli assi viari che collegavano Caiatia a Bovianum attraverso il Matese, e Venafrum a Telesia. Il Museo Archeologico di Alife raccoglie i reperti di decenni di scavi, e in un bel percorso didattico e scientifico illustra anche i ritrovamenti più recenti. Ma la traccia di Roma è forte in tutto il territorio del parco. I dintorni di Alife sono punteggiati di ritrovamenti: ville, necropoli e oggetti rinvenuti nei campi, porzioni di acquedotti, fondazioni, opere murarie, mausolei. Opere architettoniche che attestano il repentino sviluppo conosciuto da quest’area con la sua romanizzazione.

L’acquedotto romano di Faicchio è tra i meglio conservati della Campania, ed oggi è visitabile con l’accompagnamento di guide esperte.

A Faicchio fa bella mostra di sè il ponte romano di Fabio Massimo, perfettamente conservato, mentre più a nord, nella suggestiva e stretta Gola di Lavelle, è il ponte romano cosiddetto di Annibale.

Sul versante molisano del Matese merita una visita la deliziosa Saepinum, che conserva un bel teatro, il foro, le strade principali e le porte, molti edifici e un tempio, integrati in un borgo rurale tuttora abitato.

Come un grande libro

Una montagna è come una biblioteca. Il suo inizio si perde nei meandri del tempo, e non ha mai fine. Ci si può viaggiare dentro, ed è una scoperta continua, di valle in valle, di cima in cima. Giunti sulla vetta più alta, si resta con in bocca il sapore della libertà. E non si vorrebbe smettere, viene voglia di tornare a valle e camminare per i boschi, cercare e scoprire, e poi salire ancora.

Una montagna è un libro da leggere e rileggere: le sue pagine sono pieghe di roccia, anfratti e campi; narrano vicende umane e naturali antiche.

Il Matese si estende per oltre sessanta chilometri, a cavallo tra Campania e Molise. È l’anello di congiunzione fra regioni tra loro molto diverse, il punto di incontro di due culture. Così come è l’incontro tra due mondi geologici: quello del calcare, rigido e luminoso, fatto di creste e profonde valli, e quello morbido d’argilla, tondo e sinuoso, che si allunga fino all’Adriatico.

Il Monte Miletto, massima elevazione del massiccio, raggiunge i 2.050 metri sul livello del mare. Da questa vetta lo sguardo può spaziare senza impedimenti in tutte le direzioni. In basso i tre laghi del massiccio, il Lago Matese, quello di Gallo e quello di Letino. Poco oltre le affilate Mainarde, e in lontananza la Maiella e persino il Gran Sasso. Da ovest a est, sul profilo di montagne e colline, è scolpita la storia geologica di questa parte della penisola.

Sollevato da potenti spinte tettoniche, il calcare del Matese ospita alcuni tra i fenomeni carsici più eclatanti dell’intero Appennino: profonde grotte fatte di pozzi e meandri in cui scorrono fiumi vorticosi, che formano cascate e laghi solo in parte esplorati. Su questa montagna la dissoluzione e l’erosione hanno lavorato insieme, incidendo valli, conche e pianori. Anfratti e luoghi ameni in cui crescono maestose faggete, e dove pascolano indisturbate mandrie e greggi, e galoppano cavalli allo stato brado.

La memoria dell’acqua

Temporali d’autunno, neve d’inverno, rugiada a primavera. L’acqua ha scavato, arrotondato, modellato. Come uno scalpellino lento e paziente, ha disegnato nel calcare del Matese morfologie uniche nel loro genere.

Ai piedi del massiccio ci sono importanti sorgenti, come quelle molisane di Bojano, dove nasce il Biferno, e quelle del versante campano. Piedimonte Matese è noto per l’acqua che sgorga in gran copia dalle sorgenti di Torano e Maretto, usata per dissetare buona parte della regione. E che dire delle sorgenti di Grassano, sito naturale di grande bellezza a poca distanza dal rinomato centro termale di Telese. E poi numerose altre risorgenze, utilizzate fin dall’antichità, come testimoniano antichi acquedotti come quello romano di Faicchio.

Sorgenti cristalline, laghi placidi, tumultuosi torrenti.

Oasi di uccelli migratori ma anche vita per l’uomo e per le sue attività. Ne sono una riprova le centrali elettriche di Piedimonte Matese e di Capriati al Volturno, e quella abbandonata di Prata Sannita, bell’esempio di archeologia industriale.

Qui, alle quote più basse, giunge l’acqua inabissatasi in alta montagna, e porta con sè la storia e la traccia del proprio lento lavoro di erosione. Il calcare modellato dall’acqua custodisce la memoria del tempo. Gole e canyon sono ottime occasioni per coniugare la passione ecologica con il senso dell’avventura. Come nella Gola di Caccaviola, dove, indossato casco e imbraco, ci si può lanciare in tutta sicurezza in un’affascinante e inedita avventura.

E infine le grotte, matrone indisturbate che affondano le proprie radici nel buio della montagna. Basti pensare agli inghiottitoi in quota, come Campo Rotondo, Campo Braca, lo Scennerato, la grotta di Letino. Oppure alle sorgenti di media montagna, come quella di Rifreddo, di Concone delle Rose, di Capo Lete. Piccoli e grandi aperture nella roccia sono gli ingressi di mondi sterminati.

Negli abissi carsici, nelle forme che essi contengono, nei depositi e nei sedimenti, nelle stalattiti e nelle stalagmiti, nelle colate di calcite è registrato il passato del Matese. Nelle grotte il tempo scorre lentissimo, le forme sotterranee sono quasi immutate. È per questo che gli ambienti ipogei contengono la chiave per comprendere la storia e l’evoluzione anche del paesaggio esterno.

Questo è il paradiso degli speleologi, che da decenni esplorano, documentano, studiano e salvaguardano un patrimonio immenso. La speleologia è un fiore all’occhiello del Parco.

Tra laghi e faggete

L’aria. Così leggera, inconsistente, impalpabile. E l’acqua, fonte di vita e principale responsabile del modellamento del paesaggio. Nell’aria nascono i venti, si addensa l’umidità  delle nuvole, condensa la pioggia, si forma la neve. Il Matese è figlio dell’aria e dell’acqua.

Su queste montagne si registra il più alto numero di avvistamenti di avifauna dell’intera Campania. Sulle sponde del Lago Matese, il lago carsico più alto d’Italia, sosta abitualmente l’airone cenerino, mentre a quote maggiori volteggiano il falco pellegrino, il nibbio reale e il lanario. Nei boschi, e nei pressi delle grotte, nidificano il barbagianni e il gufo reale, il rapace notturno più grande d’Europa. E poi calandri e gracchi, picchi e beccacce, allodole e tordi. Ma la padrona incontrastata dei cieli è l’aquila, che è tornata a nidificare negli anfratti delle alte pareti calcaree. Con un po di fortuna la si può osservare mentre veleggia alla ricerca di prede: grazie alla sua vista leggendaria avvista lepri e pernici a chilometri di distanza, poi si lancia in picchiata senza sbagliare un colpo. È un vero spettacolo.

Nelle acque dei tre laghi del Matese nuotano pesci prelibati come la trota e il triotto. Sulle loro rive cresce una vegetazione rigogliosa di giunchi e canneti delle paludi, tipica delle zone umide. Ancora oggi si possono scorgere i lontri, tipiche imbarcazioni a fondo piatto, ancorati tra i canneti o spiaggiati a riva.

Ma gli animali amanti dell’umidità  popolano anche i canyon e gli ingressi delle caverne. Qui vivono anfibi rari come l’ululone dal ventre giallo, la salamandrina dagli occhiali, la raganella, il tritone crestato, e rettili innocui come l’orbettino, la biscia d’acqua, il biacco, il saettone, la lucertola campestre, il ramarro. E poi svariate specie scientificamente rilevanti di lepidotteri, emitteri e coleotteri di diverse fogge e dimensioni, che popolano il sottobosco e le parti iniziali delle grotte.

La fascia pedemontana è rinverdita da boschi di cerro, farnia e roverella, in cui sgambettano volpi e cinghiali. Il Bosco degli Zappini di Fontegreca, esteso per oltre settanta ettari dal centro abitato all’alta valle del torrente Sava, è tra le più importanti cipressete del Mediterraneo. Meta di botanici e studiosi, è il luogo ideale per fresche passeggiate. Oppure l’oasi naturalistica delle Mortine, riparo sicuro per lo svasso, il martin pescatore, l’airone e numerose anatre e oche.

Più in quota predomina il faggio. Forma grandi boschi, tra i più vasti dell’Appennino, e cresce spesso in associazione con l’agrifoglio e qualche volta del tasso.

Proprio qui, tra i faggi e gli aceri che in autunno arrossano i versanti dei monti, alloggia un ospite d’eccezione: il lupo. È l’ultimo rappresentante dei grandi predatori che un tempo popolavano queste montagne. Demonizzato da ingiuste leggende e in passato combattuto da contadini e pastori, oggi questo meraviglioso animale è tornato ad abitare il Matese.

Avventure d’alta quota

Chi non riesce a star fermo trova sul Matese pane per i suoi denti. Dal volo all’arrampicata, dall’escursionismo alla speleologia, dal torrentismo allo sci, le occasioni per fare sport e stare all’aria aperta non mancano di certo.

Sono sufficienti pochi colpi di pagaia in canoa o kayak per addentarsi, sui laghi e sui fiumi, oasi naturalistiche di rara bellezza. E bastano due balzi a spiccare il volo, sospesi alla vela di un parapendio o di un deltaplano, e imitare il falco pellegrino e l’aquila nelle loro sapienti virate sulle faggete, sulle creste rocciose e sulle valli.

Centinaia di chilometri di sentieri, percorsi in cresta, traversate, direttissime e itinerari brevi. Mille sono le occasioni per esplorare questa montagna, godendosi il gusto dell’avventura e il contatto con la natura.

L’inverno riveste il Matese di bianco. Esperti e principianti si possono cimentare in gare di fondo, di discesa, di snowboard.

Su queste montagne la neve è di casa.

Strutture attrezzate e impianti di risalita offrono la possibilità di alloggiare comodamente e divertirsi per giorni.

Questa montagna ha luoghi remoti e poco frequentati, in cui fermarsi ad ascoltare il silenzio. Ci si può andare affidandosi alle guide o in totale autonomia.

Si possono inventare percorsi nuovi, si può camminare dove non è mai stato nessuno.

Sul Matese la fantasia non ha limiti: purché si rispetti la natura, si può giocare e cercare l’equilibrio con se stessi.

Il trucco è semplice: basta sgombrare la mente e lasciar fare ai piedi.

L’esplorazione è vicina.

Esplorazioni sotto e sopra la terra

Il Matese è tra le montagne carsiche più importanti e note della penisola. Le sue grotte e i suoi canyon attirano ogni anno centinaia di visitatori, tra speleologi, studiosi o semplici sportivi desiderosi di vivere un’avventura diversa dal solito.

L’esplorazione ipogea è iniziata quasi un secolo fa, e continua a dare risultati entusiasmanti: chilometri di gallerie, sale e meandri. Ad oggi le grotte rilevate e studiate sono oltre ottanta, ma almeno altrettante sono conosciute e in corso di esplorazione.

Pozzo della Neve, la signora del Matese, si apre nelle ombrose faggete del settore nordorientale del massiccio, poco oltre il confine molisano. E’ una grotta famosa tra gli speleologi di tutta Europa. Con una profondità di 1.048 metri dall’ingresso, è stato tra i primi abissi italiani a superare la mitica soglia dei mille metri di profondità.

Oggi le esplorazioni hanno portato il suo sviluppo topografico a oltre sette chilometri complessivi, e le campagne speleologiche continuano a dare risultati.

A poca distanza si apre un altro mastodonte, la Sfonnatora Tornieri, meglio nota come Abisso Cul di Bove. È stata esplorata fino alla profondità di 906 metri, dove un sifone molto stretto, perennemente allagato, impedisce di proseguire anche con l’ausilio di bombole.

In pieno territorio del Parco si apre la grotta di Campo Braca, vero gioiello di morfologie sotterranee. Si tratta di un condotto di attraversamento che mette in comunicazione la piana di Campo Braca con il grande campo carsico del Lago Matese. La grotta è resa particolarmente spettacolare dalla presenza di sale e laghi, meandri e cascate, stalattiti e stalagmiti. Sebbene tutta la cavità presenti difficoltà che la rendono improponibile a una visita turistica classica, il suo tratto iniziale è accessibile a chi voglia cimentarsi con la speleologia.

Nei pressi di Letino, oltre la diga che sbarra il corso del fiume Lete, l’inghiottitoio del Cavuto è l’accesso a un altro traforo carsico. Attraverso questa grotta le acque del Lete attraversano il calcare del Monte Favaracchi e si gettano con una suggestiva cascata nella vertiginosa Rava di Prata, per poi confluire nel Volturno.

E poi ci sono le grotte cosiddette minori, come l’inghiottitoio di Campo Rotondo, che alimenta le sorgenti del Lete, l’inghiottitoio del Sava presso Gallo, quello della Pincera presso Castello matese, e le tante risorgenze, sia in quota sia a valle. L’ambiente di grotta è immutabile, perennemente avvolto da un buio assoluto. Qui l’orologio non ha senso. Percorrere una grotta equivale a compiere un viaggio nel tempo. E sul Matese è un viaggio possibile, ad esempio frequentando un corso di speleologia, che consente di assaggiare il sapore dell’esplorazione autentica, o diventare direttamente esploratori, scoprire regioni remote e dare loro i nomi. La speleologia è davvero l’ultima frontiera dell’esplorazione geografica.

L’avventura continua anche in superficie.

Le forre del Matese sono ambienti del tutto peculiari: profonde incisioni nel calcare sono percorse dai torrenti che le hanno scavate. Anche i canyon richiedono esperienza e attrezzature adeguate, ma nel territorio del parco è possibile visitarne una appositamente attrezzata, la Gola di Caccaviola. Mediante cavi collaudati e sicuri, e con l’accompagnamento di guide specializzate, è possibile vivere un’esperienza indimenticabile. I salti e le cascate vengono discesi utilizzando teleferiche e carrucole, i laghi vengono superati con comodi traversi. Il viaggio dura diverse ore, e consente di portare a casa ricordi indelebili.

Le innumerevoli forme carsiche di questa montagna sono un terreno di gioco, di studio e di esplorazione a trecentosessanta gradi.

Spazio alle gambe

L’amante del buon passo qui ne ha per giorni. È pressoché impossibile resistere al fascino delle grandi escursioni.
Un’esperienza indimenticabile è la traversata del Matese, da nordovest a sudest. Il percorso, sempre in cresta, richiede attrezzatura adeguata e allenamento, ma vale la pena. In circa quattro giorni di cammino si attraversa tutta la montagna, si scoprono angoli quasi inaccessibili, valli, anfratti, ingressi di grotte ancora inesplorate, piccoli e grandi canyon.
Questo incantevole itinerario prende le mosse dal paesino di Monteroduni, in provincia di Isernia, per seguire un’antica strada romana scavata sul bordo della profonda Forra di Pesco Rosso, fino a Gallo Matese. Da qui, in bella vista sui laghi di Gallo e di Letino, prosegue dribblando doline e bizzarre forme carsiche, per poi attraversare la rettilinea conca di Campo Figliolo e raggiungere la cresta di Monte Valle Diamante. Verso sud, nel Campo delle Secine, è la sorgente del torrente Lete, che dopo un breve percorso si inabissa in una grotta carsica.
L’itinerario lambisce Monte Ruzzo e con una bella salita raggiunge il maestoso Monte Miletto (2.050 m). Qui sembra di volare: lo sguardo spazia in tutte le direzioni, abbraccia non soltanto il Matese, ma buona parte della Campania e del Molise, e, nelle belle giornate, giunge ai due mari. Poco sotto la vetta si apre un grande circo glaciale, relitto delle ultime glaciazioni, e seicento metri più in basso si vedono il grande polje e gli impianti sciistici di Campitello Matese.
Il sentiero scende verso Colle del Monaco, a poca distanza da località l’Esule, tra eclatanti forme carsiche che annunciano la presenza di grotte. Poi risale verso Monte Crocetta e raggiunge la cima della Gallinola (1.923 m). In basso, verso sud, la grande piana del Lago Matese, tagliata dal Passo di Miralago e dal Fosso di Prete Morto, che si precipita nella Gola dell’Inferno per raggiungere il fondovalle.
Ma l’itinerario si tiene sempre alto: passa per Piano della Corte e per Monte Orso, per raggiungere il valico di Sella del Perrone. Da qui sale fino al Monte Mutria (1.823 m) massiccio e sornione, affacciato sulla valle del Quirino a nord e sull’ampia vallata del Titerno a sud.
Dal Mutria scende verso località Tre Confini e verso Campitelli di Sepino, per entrare in territorio di Morcone o raggiungere l’abitato di Pietraroja.
Ma per conoscere la natura di queste montagne non è necessario compiere l’intera traversata. Se ne può fare solo una parte, oppure inventare varianti.
Per addentrarsi nel Matese basta imboccare uno dei tanti sentieri segnalati dal Club Alpino Italiano. Alcuni di essi partono direttamente dal fondovalle, altri si possono imboccare già in quota.
Alcune passeggiate sono davvero meravigliose. Quella al Monte Janara partendo da Campo Rotondo regala la soddisfazione di raggiungere una cima senza grossi sforzi, e attraversa paesaggi carsici di grande bellezza, con viste sulla Piana delle Secine e sul versante campano del Matese.
Nello zaino ci devono essere sempre acqua, viveri, una giacca a vento, vestiario pesante anche in piena estate, e una buona dose di prudenza. La montagna è imprevedibile: una bella giornata di sole può evolvere rapidamente a temporale, con pioggia battente, vento e fulmini.
Per questo motivo l’ideale è rivolgersi a personale esperto, che oltre al supporto tecnico e all’esperienza, può fornire le attrezzature necessarie ad effettuare un’escursione o un’esplorazione in tutta sicurezza.

Sport per tutti

Chi non avesse voglia di camminare o avventurarsi su percorsi tecnici, potrà dedicarsi alle tante altre attività possibili nel territorio del Parco.

Le placide acque dei laghi in quota possono essere navigate da imbarcazioni a remi come i lontri, oppure da più moderne e sportive canoe e kayak. Le zone umide circostanti si prestano alla pratica del birdwatching, e i prati circostanti sono il posto ideale per cimentarsi nel tiro con l’arco.

In sella a docili cavalli addestrati dalle aziende locali si possono fare brevi passeggiate o vere e proprie gite per boschi e radure.

Le tante pareti di calcare sono palestre perfette per l’arrampicata sportiva, che sul Matese sta riscuotendo un successo crescente tra gli appassionati di questa disciplina. I siti più noti sono sulla Civita di Pietraroja, sulle pareti di San Lorenzello, nella Valle Orsara e nei pressi di Letino. Ben noti sono anche i decolli d’alta quota, adatti al parapendio e al deltaplano. In pianura spunta di tanto in tanto una mongolfiera, poetica e colorata, che si solleva silenziosa verso le cime.

Molte strade, soprattutto nella Valle Alifana e negli ampi pianori in quota, sono adatte al cicloturismo. Gli amanti delle due ruote possono altresì sbizzarrirsi in infiniti percorsi da mountain-bike. Con le moderne biciclette si può pedalare sulle strade sterrate che attraversano boschi e ampie radure, e raggiungere pressoché ogni angolo del Matese. Qua e là stanno nascendo anche le prime piste ciclabili.

Una molto bella segue una vecchia strada e si addentra nella Forra di Lavelle, scavata dal torrente Titerno alle pendici rocciose del Monte Cigno.

L’inverno ricopre il Matese di bianco. Gli amanti della neve si danno appuntamento da dicembre a marzo a Bocca della Selva, per dedicarsi allo sci da discesa e allo snowboard. Un pò ovunque, nei boschi e per i monti, si può praticare lo sci escursionismo, oppure ci si può allontanare in lunghe passeggiate con le ciaspole ai piedi.

Scorgere gli animali selvatici, o anche soltanto le loro impronte fresche nella neve, è una vera emozione. L’inverno è anche la stagione delle gare di sci da fondo, organizzate soprattutto nei pressi di Monte Orso.

Abbondano in ogni stagione le iniziative organizzate dalla vivace realtà delle associazioni e delle pro-loco, che mettono a disposizione itinerari e proposte tematiche per tutti i gusti.

Borghi, rocche e castelli

La crisi della romanità e diverse epidemie di peste e malaria, che decimano la popolazione, agevolano la penetrazione di Goti e Vandali nel V secolo d.C. Un secolo più tardi sono i Longobardi, insediatisi nelle zone interne della Campania, a riordinare politicamente tutta l’area.

Vengono costruiti castelli affidati a un gastaldo, col compito di amministrare piccole porzioni di territorio.

Le grotte, le grandi protagoniste di queste montagne, non sono soltanto luoghi di esplorazione, di studio naturalistico e di avventura, ma anche scrigni di storia e d’arte. Numerose sono le cavità  naturali dedicate al culto di San Michele Arcangelo, di retaggio longobardo. L’impronta di questo periodo è evidente soprattutto in grotte come quella di Curti di Gioia Sannitica, o quelle di Raviscanina e di Faicchio, ornate con altari e importanti affreschi.

Con l’entrata in scena dei Saraceni, tutta l’area subisce una profonda trasformazione: i centri si arroccano sui rilievi, in posizioni più riparate, e persino i monasteri vengono fortificati. I profughi della città di Alife fondano innumerevoli centri addossati ai rilievi o lungo i versanti, come Castello e San Gregorio Matese, Prata Sannita, Pratella, Ciorlano e Piedimonte Matese.

Le tracce di questo periodo sono tuttora vivide, e ancora oggi in molti borghi del Matese si respira aria di Medioevo.

Pressochè ogni centro ha la propria rocca o il proprio palazzo fortificato. Tutta la Valle del Volturno, del resto, è ricca di ruderi di castelli, eredità anche del successivo periodo normanno, svevo e angioino.

Deliziosi esempi sono il borgo di Gioia Sannitica, isolato su un colle a poca distanza dal centro odierno, e il centro storico e il Palazzo Ducale di Piedimonte Matese. Il centro abitato di Castello del Matese, in bella posizione su tutta la valle e una delle principali porte d’accesso al parco, prende il nome proprio da due torri, relitto di un forte normanno.

Anche Faicchio ha un notevole maschio, in pieno centro, tuttora utilizzato per eventi culturali e altre iniziative.

E poi Prata Sannita, col suo centro storico ricco di rinvenimenti archeologici, i vicoli e le case arroccate della Prata Superiore, dominata da un imponente castello.

Oppure Ailano, pugno di case alla sommità di un colle, con i resti di una rocca cinquecentesca, e il centro storico di Capriati al Volturno. Tra i centri meglio conservati, quello di Cusano Mutri, interamente in pietra calcarea, sorge in magnifica posizione nel Matese sudorientale, al piede del Monte Mutria, ed è un punto di partenza ideale per escursioni nei dintorni.