Una montagna è come una biblioteca. Il suo inizio si perde nei meandri del tempo, e non ha mai fine. Ci si può viaggiare dentro, ed è una scoperta continua, di valle in valle, di cima in cima. Giunti sulla vetta più alta, si resta con in bocca il sapore della libertà. E non si vorrebbe smettere, viene voglia di tornare a valle e camminare per i boschi, cercare e scoprire, e poi salire ancora.
Una montagna è un libro da leggere e rileggere: le sue pagine sono pieghe di roccia, anfratti e campi; narrano vicende umane e naturali antiche.
Il Matese si estende per oltre sessanta chilometri, a cavallo tra Campania e Molise. È l’anello di congiunzione fra regioni tra loro molto diverse, il punto di incontro di due culture. Così come è l’incontro tra due mondi geologici: quello del calcare, rigido e luminoso, fatto di creste e profonde valli, e quello morbido d’argilla, tondo e sinuoso, che si allunga fino all’Adriatico.
Il Monte Miletto, massima elevazione del massiccio, raggiunge i 2.050 metri sul livello del mare. Da questa vetta lo sguardo può spaziare senza impedimenti in tutte le direzioni. In basso i tre laghi del massiccio, il Lago Matese, quello di Gallo e quello di Letino. Poco oltre le affilate Mainarde, e in lontananza la Maiella e persino il Gran Sasso. Da ovest a est, sul profilo di montagne e colline, è scolpita la storia geologica di questa parte della penisola.
Sollevato da potenti spinte tettoniche, il calcare del Matese ospita alcuni tra i fenomeni carsici più eclatanti dell’intero Appennino: profonde grotte fatte di pozzi e meandri in cui scorrono fiumi vorticosi, che formano cascate e laghi solo in parte esplorati. Su questa montagna la dissoluzione e l’erosione hanno lavorato insieme, incidendo valli, conche e pianori. Anfratti e luoghi ameni in cui crescono maestose faggete, e dove pascolano indisturbate mandrie e greggi, e galoppano cavalli allo stato brado.